martedì 30 aprile 2013

Un articolo di oggi

Preso da qui.

Di Paolo Papi.
Pippo Civati, il dissidente Pd che ha detto no a Letta
Il suo blog è diventato il punto di riferimento di migliaia di militanti di sinistra contrari all'accordo tra Pd e PdL: e se fosse lui a sfidare Matteo Renzi nel partito?

I commenti ai post del suo blog, Ciwati , viaggiano a un ritmo di uno o due al minuto. Una fiumana che s'ingrossa ogni giorno di più: a scrivergli, invitandolo a non mollare, a prendere in mano il Pd pensionando tutta la vecchia classe dirigente, sono migliaia di giovani militanti di tutta l’Italia che si sentono traditi dal «golpe dei 101 franchi tiratori» che hanno accoltellato Prodi, elettori indignati dall’«inciucio» e dalla svolta a «U» del Pd dopo la rielezione di Napolitano, vecchi e nuovi grillini che guardano a lui come l’unico volto presentabile di un partito che, bocciando Rodotà , ha scelto ancora una volta l’abbraccio mortale con il «Caimano».
Lui, Pippo Civati, classe 1976, monzese, non arretra. Anzi, di fronte alle richieste di espulsione a chi non vota la fiducia che sono piovute nei giorni scorsi da un pezzo da novanta dell'apparato come Francesco Boccia, ha rilanciato la sua sfida (apparentemente) solitaria al quartier generale del Pd: uscendo dall’aula in occasione del voto di fiducia al governo, sparando a palle incatenate contro il golpe dei 101 sul suo blog e affilando le armi, chissà, in vista del Congresso di un partito che, di fatto, lo ha scritto Claudio Cerasa su Il Foglio , è stato commissariato da Re Giorgio fino a ottobre. Obiettivo, più o meno mascherato: scalare il partito, conquistandone «da sinistra» la segreteria in nome dell'apertura al «popolo delle primarie» (e non solo agli iscritti) e sfidando quel Matteo Renzi con cui aveva pure condiviso qualche anno fa gli albori della rottamazione. Una sfida tra i due giovani «cavalli di razza» del Pd, uno a «destra» e l'altro a «sinistra», uno fiorentino, l'altro brianzolo, che secondo i «piddologhi» potrebbe concludersi con un accordo che eviti l'8 settembre della sinistra italiana: uno, il sindaco, candidato premier, l'altro, il blogger, alla guida di un partito che guarda a sinistra e al M5S e che sia sganciato dalle sorti del governo.
I dubbi, semmai, sono altri: riuscirà a scalare il partito? Cercherà un'alleanza con l'ex ministro Barca, ultimo volto spendibile della tradizione post-comunista? I «vecchi» si lasceranno mettere da parte dopo l'epocale fallimento della segreteria Bersani? Come si schiereranno, nella battaglia congressuale, la Cgil e i corpi intermedi del Pd? Quello che è certo è che, sull'elezione del presidente della Repubblica, Civati si è conquistato il rispetto di migliaia di militanti del partito, non solo della Lombardia, dai giovani di Occupy Pd fino agli ex Ds che non accettano di difendere un governo dove i volti forti del partito sono tutti rappresentati da ex democristiani. I suoi antipatizzanti nel partito, che sono molti, dicono di no. Che Pippo, nonostante il personale successo ottenuto alle parlamentarie democratiche di fine 2012 in Lombardia, sia rimasto e rimarrà un generale senza truppe. Un inguaribile «vanesio», un po' saccente e un po' donchisciottesco, che, alle mani nella melma politica, al contare le tessere, preferisce la luce riflessa di un post ben scritto sul blog. Insomma: dicono che la sua sia una battaglia di testimonianza e che Pippo da Monza non abbia le spalle abbastanza larghe per conquistare un partito come il Pd, dove contano ancora bande, interessi inconfessabili e antichi rancori.
Non c'è che da attendere qualche mese: di certo Civati, che a vent'anni era già segretario del Pd monzese ed è cresciuto a pane e politica, non è un pollo d'allevamento come gli Orfini o i Fassina, giovani turchi bersaniani che, dopo i mal di pancia sul voto a Franco Marini, hanno messo subito testa a partito votando disciplinatamente Prodi, Napolitano e infine Letta. Civati è cresciuto nel Pd più marginale d'Italia, in un'area, la Brianza, dove il centrosinistra non ha quasi mai visto boccia per vent'anni. Non è uno, per storia personale, per estrazione borghese, per studi filosofici, che ha paura delle battaglie solitarie in territorio nemico. È la sua forza e la sua debolezza. Un po' come Pietro Ingrao nel Pci: amato dalla base ma relegato per decenni a ruolo di coscienza critica del partito.
Il destino di Pippo Civati da Monza - che oggi migliaia di militanti ed elettori acclamano come il nuovo salvatore dell'onore perduto della sinistra - è però tutto da scrivere. E non è detto, se la vecchia guardia dovesse dare il via a una nuova notte dei lunghi coltelli congressuali, che non sia lontano da quel partito dal quale nessuno (almeno per ora) può permettersi di espellerlo. Per molti militanti, Pippo Civati è diventato l'ultima speranza di una sinistra che ha commesso, sull'elezione del capo dello Stato, il più imperdonabile degli errori: trasformare un voto per la massima carica istituzionale in un antipasto della battaglia congressuale del Pd. Arrivando persino a impallinare, in un moto autodistruttivo che è il cancro che divora la sinistra italiana da decenni, il fondatore dell'Ulivo Romano Prodi.

lunedì 29 aprile 2013

Appello agli elettori dell'Italia Bene Comune [un secolo fa]

Noi, cittadine e cittadini democratici e progressisti, ci riconosciamo nella Costituzione repubblicana, in un progetto di società di pace, di libertà, di eguaglianza, di laicità, di giustizia, di progresso e di solidarietà.
Vogliamo contribuire al cambiamento dell’Italia, alla ricostruzione delle sue istituzioni, a un forte impegno del nostro Paese per un’Europa federale e democratica. Crediamo nel valore del lavoro, nello spirito solidaristico e nel riconoscimento del merito. Vogliamo archiviare la lunga stagione berlusconiana e sconfiggere ogni forma di populismo.
Oggi siamo noi i protagonisti del cambiamento e ne sentiamo la responsabilità. La politica non è tutta uguale. Vogliamo che i nostri rappresentanti siano scelti per le loro capacità e per la loro onestà. Chiediamo che i candidati dell’Italia Bene Comune rispettino gli impegni contenuti nella Carta d'Intenti.
Per questi motivi partecipiamo alle elezioni primarie per la scelta del candidato comune alla Presidenza del Consiglio e rivolgiamo un appello a tutte le forze del cambiamento e della ricostruzione a sostenere il centrosinistra e il candidato scelto dalle primarie alle prossime elezioni politiche.


domenica 28 aprile 2013

Nessuna disperazione

Può giustificare chi spara a persone che non c'entrano niente e che stavano solo facendo il loro lavoro.
Nessuna disperazione può giustificare nemmeno chi spara a persone che c'entrano qualcosa.

sabato 27 aprile 2013

Grillo ha rotto le palle

E lo dico da personcina tranquilla, che ha votato Sel e quindi indirettamente sostenuto il Pd, ma che non si augurava affatto di finire con un governo così.
E di chi è la colpa se oggi abbiamo il governo dell'inciucio? Certo, soprattutto per colpa del Pd che si è finto di sinistra e invece non lo era, ma Bersani ha fatto di tutto per costruire un vero governo di cambiamento. Bersani non lo voleva l'inciucio, tutti gli altri sì, primo fra tutti, evidentemente, Enrico Letta.
E chi è che ha sempre detto no a qualunque proposta del Bersani arrivato primo, ma non vincitore? Chi, non solo ha detto no, ma non ha neanche mai proposto un nome, un elemento che potesse sbloccare la situazione. Niente. Bersani ci provava e i grillini gli sbattevano in faccia tutte le porte.
Quindi di chi è la colpa dell'inciucio?
Solo del Pd?
Il Pd è inqualificabile, tutti i vaffanculo usati da Grillo fin qui non sono abbastanza, però ora c'è dentro anche il M5S e non può mettersi in un angolo e puntare il dito, perché se solo avessero proposto dei nomi, se solo avessero aperto qualche spiraglio, ora avremmo un governo di cambiamento e non questo governo di restaurazione Letta-Alfano. Se anche il movimento avesse indicato una strada da percorrere insieme, un modo per collaborare, oggi avrebbe vinto la parte migliore del Pd, quella di Civati, per dirne uno che in questi giorni ha acquistato una certa notorietà nel suo dissenso. E i vari Finocchiaro, Letta, D'Alema se la sarebbero preso in quel posto.
Invece niente.
Domani giurerà il governo Letta-Alfano che fa schifo solo a sentirlo chiamare così.

E se c'è l'inciucio è colpa del Pd e del M5S. Di entrambi. Quindi Grillo deve smettere di urlare in questo modo da un blog o da un palco, perché lui non ha agito per arrivare ad altro che a quest'inciucio. Lui l'inciucio l'ha prodotto al pari dei 101 franchi tiratori del Pd.

Il governo dell'inciucio di Enrico Letta

Presidente del Consiglio: Enrico Letta
Sottosegretario di Stato: Filippo Patroni Griffii
Vicepresidente: Angelino Alfano
Ministro dell’Interno: Angelino Alfano
Ministro degli affari europei: Enzo Moavero Milanesi
Ministro Autonomie: Graziano Del Rio
Ministro coesione: Carlo Trigilia
Ministro per i rapporti: Dario Franceschini
Ministro per le riforme Costituzionali: Gateano Quagliarello
Ministro delle pari opportunità: Josefa Idem
Ministro della Pubblica amministrazione: Giampiero D’Alia
Ministro dell’Economia: Saccomanni
Ministro dello Sviluppo: Flavio Zanonato
Ministro delle Infrastrutture: Maurizio Lupi
Ministro delle politiche agricole e forestali: Nunzia De Girolamo
Ministro del Lavoro: Enrico Giovannini
Ministro dell’istruzione: Maria Chiara Carrozza
Ministro della Salute: Beatrice Lorenzin
Ministro degli Esteri: Emma Bonino
Ministro della giustizia: Cancellieri
Ministro dell’Ambiente: Andrea Orlando

venerdì 26 aprile 2013

#occupypd

Oggi prenderei la tessera del Pd solo per dire che non sono d'accordo su niente. Solo per essere anch'io una di quelli di #occupypd.
In momenti così politicamente attivi rimpiango il fatto di vivere in un anonimo paesino di una poco cruciale regione.

Di Adriano Sofri

Benché i colpi di scena, veri o apparenti, incalzino, vorrei ricapitolare che cosa (mi pare) è successo.
Vinte nettamente le primarie, Bersani ha fatto una campagna attendista. Era convinto che il successo fosse già nel sacco. Ci teneva come all’occasione culminante della sua vicenda militante, e si proponeva di usare la vittoria per rinnovare fortemente la composizione del Pd e per cimentarsi con un governo che rompesse col feticcio dell’austerità.
Dopo la delusione elettorale, ha investito sulla propria debolezza per stanare la demagogia grillista: ottenerne una collaborazione, o svelarne il nullismo.
Bersani aveva un punto fermo: nessun accordo di governo con il Pdl. Attorno a lui si moltiplicavano i dissensi, malcelati e via via più trasparenti. Avrebbe potuto rinunciare alla candidatura al governo: ci si può chiedere se ci fossero altri accreditati e risoluti altrettanto a non trattare del governo con Berlusconi.
La resistenza di Bersani (tenace oltre ogni previsione, e non spiegabile con una disperata ambizione personale) aveva una sola prospettiva: che Napolitano lo mandasse alle Camere. Lì, se non un calcolo politico, il dolore sentitissimo di tanta parte, e trasversale, dei nuovi eletti per l’eventualità di tornarsene a casa, avrebbe potuto dargli una striminzita e caduca fiducia, di cui però avrebbe potuto approfittare per prendere tre o quattro iniziative radicali, a cominciare dalla legge elettorale. Se fosse stato sfiduciato, avrebbe potuto guidare un governo provvisorio per l’elezione al Quirinale e la successiva campagna elettorale anticipata. Napolitano non ne ha voluto sapere: aveva le sue ragioni, ma sia lui che i numerosi esponenti del Pd che mordevano il freno e davano segni di impazienza crescente nei confronti di Bersani e della “perdita di tempo”, rivendicavano di fatto (guardandosi dal dirlo, nella maggior parte dei casi) un accordo di governo con il Pdl.
Bersani ha tenuto duro a oltranza, posponendo la questione del governo alla rielezione al Quirinale, così da ammorbidire l’esclusione del Pdl grazie alla distinzione fra governo e Presidenza della Repubblica, quest’ultima costituzionalmente orientata alla più vasta condivisione.
Ha qui fatto due o tre errori fatali: ha creduto che quella distinzione fosse chiara; ha ritenuto che fosse convincente per la base e l’elettorato di sinistra; si è illuso che il notabilato del Pd lo seguisse. Soprattutto, non ha formulato pubblicamente il nome o i nomi dei candidati che il Pd avrebbe proposto a tutte le altre forze politiche.
Così, mentre un nome degno come quello di Marini passava per scelto da Berlusconi, Grillo candidava Rodotà, persona esemplare per uno schieramento di sinistra dei diritti civili e dei movimenti. I 5Stelle erano fino a quel punto piuttosto nell’angolo, essendo evidente come il loro compiaciuto infantilismo settario (oltre che l’insipienza dei loro portavoce) facesse dissipare un’inverosimile opportunità di riforme e regalasse al centrodestra una forza di ricatto insperata. Del disastro della notte e del giorno di Marini (che non lo meritava) inutile ripetere: Bersani ne è uscito, dopo 50 giorni di resistenza catoniana, come un inciucista finalmente smascherato. (Ve li ricordate, dal primo giorno, i titoli “da sinistra” sull’inciucio avvenuto?).
Avrebbe potuto il Pd aderire alla candidatura di Rodotà, come tanti hanno auspicato? Forse: sarebbe stata una capitolazione nei confronti dei 5Stelle, che in Rodotà avevano visto soprattutto una ghiotta occasione per imbarazzare il Pd, ma cedere a una pretesa strumentale e arrogante può non essere un errore. Lo considererei più nettamente tale se Rodotà avesse risposto all’offerta della candidatura dichiarando che l’avrebbe accettata solo nel caso che fosse di tutta la sinistra: Scalfari ha fatto un’osservazione simile. I 5Stelle hanno sventolato il nome di Rodotà come una loro stretta bandiera, e al tempo stesso l’hanno proclamato come il candidato di tutti gli italiani contro quelli del Palazzo. Gli italiani avevano moltissimi altri candidati degni, per fortuna, e le stesse consultazioni varie lo mostravano (com’è noto, Emma Bonino era la preferita: è diventato un tic, gli italiani ce l’hanno, i politici non ci fanno più caso). La postuma pubblicazione di voti e preferenze delle cosiddette (pessimamente) quirinarie, hanno aggiunto un tocco di ridicolo al tono grillista. Bene: quando si sbaglia, specialmente se in buonissima fede, è buona norma di lasciar perdere, pena la valanga.
La candidatura brusca di Prodi – meritevolissima – è stata la toppa peggiore del buco. E ha mostrato come il Pd non abbia, come si dice, “due anime”, ma forse nemmeno una, e invece una quantità di cordate e bande, tenute assieme da altro che le divergenze politiche. Le convinzioni politiche sono la cosa più importante in un partito che aspira, come si dice, a cambiare il mondo, tranne un’altra: l’amicizia fra i suoi membri e i suoi militanti.
Per questo la scissione è forse un pericolo, ma non una cosa seria: la frantumazione sì. Sarebbe bene che ne tenesse conto chiunque si proponga davvero di “rifondare” (verbo inquietante) il Pd, e sia tentato da escursioni minoritarie. Eravamo al punto in cui il Pd, in stato del tutto confusionario, era a rimorchio della demagogia a 5Stelle da una parte – e di sue piazze scandalizzate e scandalose – della furbizia di Berlusconi dall’altra.
L’elezione di Napolitano (una pazzia, in un mondo normale: un uomo molto vecchio che si era finalmente preparato uno scampolo di esistenza privata) è stata un escamotage provvidenziale: il suo effetto, quel governo delle “larghe intese” che si voleva escludere a priori, è il boccone più indigesto. È, amara ironia, il rovescio della distinzione cui Bersani aveva confidato la sua ostinazione, fra governo mai col Pdl e Quirinale condiviso: Quirinale confermato, e governo condiviso, a capo chino.
I 5Stelle? Le mosse furbe hanno gambe corte. I portavoce hanno spiegato che i voti in Friuli-Venezia Giulia sono quelli normali nelle regioni. Però il capo aveva annunciato che sarebbe stata la prima regione in loro mani. Credo che le persone che li avevano votati e hanno sentito sprecato il loro voto siano molte. Il bilancio provvisorio, con 5Stelle e Pd in caduta, e il Pdl in ascesa, è un capolavoro.
Vorrei aggiungere una cosa. Ci sono molti aspetti della situazione attuale che ricordano, ben più del precedente di Mani Pulite, quello remoto del primo dopoguerra, quasi cent’anni fa. Non c’era, nello scontro frontale fra sovversivi diciannovisti ed eversori fascisti una distinzione così netta di sinistra e destra. Le file del fascismo movimento erano piene di ex-socialisti, interventisti rivoluzionari, sindacalisti soreliani, massimalisti di ogni genere. Non era così chiaro, e a distanza di tanti anni fu penoso per tanti chiedersi da che parte erano stati, e perché, e come fosse stato possibile. A suo modo, e con una gran dose di autoindulgenza, Grillo evoca questa ambiguità quando ripete che il suo movimento è l’argine italiano all’Alba dorata greca o al lepenismo e alle altre insorgenze neonaziste in Europa. Il programma dei 5Stelle contiene molti obiettivi buoni per una sinistra della conversione ecologica, e anzi da quest’ultima pensati e proposti da lungo tempo.
La differenza sta altrove, nel Vaffanculo, nei Morti che camminano, nel Tutti a casa. La differenza fra il federalismo verde e aperto di Alex Langer e il razzista federalismo leghista passava dalle imprecazioni di Bossi e dei suoi. I buoni programmi smettono di essere minoritari e vincono quando vengono distorti e incattiviti dalla demagogia. “La gente” non ha infinite ragioni alla sua ribellione contro i privilegi e l’impudenza dei potenti? Certo. Ma che i parlamentari escano da Montecitorio da una porta secondaria – se è andata così – è un episodio di violenza e di viltà vergognose. A proposito del 25 aprile.

giovedì 25 aprile 2013

Il bello del PD: Pippo Civati


25 aprile

La festa italiana più importante. 
Una settimana fa eravamo appena all'inizio del #romanzoQuirinale, i franchi tiratori del PD, più franchi che tiratori in effetti, avevano appena fatto saltare la candidatura Marini. Io ero molto soddisfatta, con la convinzione che, vista la bocciatura delle larghe intese col Pdl, il Pd avrebbe optato per le larghe intese col M5S. Invece niente.
Una settimana dopo sappiamo come è andata a finire.
Prodi bocciato, Rodotà nemmeno preso in considerazione, Pd sfasciato e un Berlusconi risorto un'altra volta non tanto per i suoi meriti, quanto per i demeriti degli altri. 
Non sono una grillina, ma come posso dire oggi, 25 aprile 2013, che Grillo sbagliava quando parlava di Pdl e Pdmenoelle? Semplice: non posso dirlo. Aveva ragione.
Siamo rimasti senza un grande partito di sinistra, il Pd è uscito allo scoperto mostrando quello che è in realtà: un partito che preferisce Berlusconi a Rodotà.
Nei giorni passati sono stata così arrabbiata che avrei voluto insultare tutto e tutti. Non sapevo esattamente dove farlo.
Da oggi lo farò su questo blog.