Di Paolo Papi.
Pippo
Civati, il dissidente Pd che ha detto no a Letta
Il suo blog è diventato
il punto di riferimento di migliaia di militanti di sinistra contrari
all'accordo tra Pd e PdL: e se fosse lui a sfidare Matteo Renzi nel
partito?
I commenti ai post del suo
blog, Ciwati , viaggiano a un ritmo di uno o due al minuto. Una
fiumana che s'ingrossa ogni giorno di più: a scrivergli, invitandolo
a non mollare, a prendere in mano il Pd pensionando tutta la vecchia
classe dirigente, sono migliaia di giovani militanti di tutta
l’Italia che si sentono traditi dal «golpe dei 101 franchi
tiratori» che hanno accoltellato Prodi, elettori indignati
dall’«inciucio» e dalla svolta a «U» del Pd dopo la rielezione
di Napolitano, vecchi e nuovi grillini che guardano a lui come
l’unico volto presentabile di un partito che, bocciando Rodotà ,
ha scelto ancora una volta l’abbraccio mortale con il «Caimano».
Lui, Pippo Civati, classe
1976, monzese, non arretra. Anzi, di fronte alle richieste di
espulsione a chi non vota la fiducia che sono piovute nei giorni
scorsi da un pezzo da novanta dell'apparato come Francesco Boccia, ha
rilanciato la sua sfida (apparentemente) solitaria al quartier
generale del Pd: uscendo dall’aula in occasione del voto di fiducia
al governo, sparando a palle incatenate contro il golpe dei 101 sul
suo blog e affilando le armi, chissà, in vista del Congresso di un
partito che, di fatto, lo ha scritto Claudio Cerasa su Il Foglio , è
stato commissariato da Re Giorgio fino a ottobre. Obiettivo, più o
meno mascherato: scalare il partito, conquistandone «da sinistra»
la segreteria in nome dell'apertura al «popolo delle primarie» (e
non solo agli iscritti) e sfidando quel Matteo Renzi con cui aveva
pure condiviso qualche anno fa gli albori della rottamazione. Una
sfida tra i due giovani «cavalli di razza» del Pd, uno a «destra»
e l'altro a «sinistra», uno fiorentino, l'altro brianzolo, che
secondo i «piddologhi» potrebbe concludersi con un accordo che
eviti l'8 settembre della sinistra italiana: uno, il sindaco,
candidato premier, l'altro, il blogger, alla guida di un partito che
guarda a sinistra e al M5S e che sia sganciato dalle sorti del
governo.
I dubbi, semmai, sono
altri: riuscirà a scalare il partito? Cercherà un'alleanza con l'ex
ministro Barca, ultimo volto spendibile della tradizione
post-comunista? I «vecchi» si lasceranno mettere da parte dopo
l'epocale fallimento della segreteria Bersani? Come si schiereranno,
nella battaglia congressuale, la Cgil e i corpi intermedi del Pd?
Quello che è certo è che, sull'elezione del presidente della
Repubblica, Civati si è conquistato il rispetto di migliaia di
militanti del partito, non solo della Lombardia, dai giovani di
Occupy Pd fino agli ex Ds che non accettano di difendere un governo
dove i volti forti del partito sono tutti rappresentati da ex
democristiani. I suoi antipatizzanti nel partito, che sono molti,
dicono di no. Che Pippo, nonostante il personale successo ottenuto
alle parlamentarie democratiche di fine 2012 in Lombardia, sia
rimasto e rimarrà un generale senza truppe. Un inguaribile
«vanesio», un po' saccente e un po' donchisciottesco, che, alle
mani nella melma politica, al contare le tessere, preferisce la luce
riflessa di un post ben scritto sul blog. Insomma: dicono che la sua
sia una battaglia di testimonianza e che Pippo da Monza non abbia le
spalle abbastanza larghe per conquistare un partito come il Pd, dove
contano ancora bande, interessi inconfessabili e antichi rancori.
Non c'è che da attendere
qualche mese: di certo Civati, che a vent'anni era già segretario
del Pd monzese ed è cresciuto a pane e politica, non è un pollo
d'allevamento come gli Orfini o i Fassina, giovani turchi bersaniani
che, dopo i mal di pancia sul voto a Franco Marini, hanno messo
subito testa a partito votando disciplinatamente Prodi, Napolitano e
infine Letta. Civati è cresciuto nel Pd più marginale d'Italia, in
un'area, la Brianza, dove il centrosinistra non ha quasi mai visto
boccia per vent'anni. Non è uno, per storia personale, per
estrazione borghese, per studi filosofici, che ha paura delle
battaglie solitarie in territorio nemico. È la sua forza e la sua
debolezza. Un po' come Pietro Ingrao nel Pci: amato dalla base ma
relegato per decenni a ruolo di coscienza critica del partito.
Il destino di Pippo Civati
da Monza - che oggi migliaia di militanti ed elettori acclamano come
il nuovo salvatore dell'onore perduto della sinistra - è però tutto
da scrivere. E non è detto, se la vecchia guardia dovesse dare il
via a una nuova notte dei lunghi coltelli congressuali, che non sia
lontano da quel partito dal quale nessuno (almeno per ora) può
permettersi di espellerlo. Per molti militanti, Pippo Civati è
diventato l'ultima speranza di una sinistra che ha commesso,
sull'elezione del capo dello Stato, il più imperdonabile degli
errori: trasformare un voto per la massima carica istituzionale in un
antipasto della battaglia congressuale del Pd. Arrivando persino a
impallinare, in un moto autodistruttivo che è il cancro che divora
la sinistra italiana da decenni, il fondatore dell'Ulivo Romano
Prodi.
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